Il Tallone di ferro, romanzo dispotico, che guarda al presente e al nostro futuro.


Il Tallone di ferro, romanzo dispotico, che guarda al presente e al nostro futuro.

Ci sono libri che provano a descrivere il mondo così com’è. Altri che cercano di immaginare come potrebbe diventare. A volte è un bel mondo, quello immaginato dagli scrittori. Ma spesso, di questi tempi soprattutto, è un mondo tutt’altro che piacevole: prendendo spunto da alcune tendenze già percepibili nel presente, molti scrittori immaginano e raccontano un futuro pieno di ombre, incubi, allucinazioni, orrori. È la cosiddetta narrativa distopica: quella che rovescia l’utopia nel suo opposto, cercando di prefigurare e illuminare il lato oscuro del futuro che ci attende.

Le distopie sono spesso immaginazioni di mondi dominati dal controllo. Dalla sorveglianza. Dalla sottomissione. Immaginano forme abnormi di dominio dell’uomo sull’uomo. O dell’uomo sulla donna. Del forte sul debole. Del normale sull’anomalo. Di chi adora il dio giusto nei confronti di chi adora il dio sbagliato.

Il mio augurio è tutto nell’immagine che ho scelto di mettere in evidenza. Spero che “Una risata seppellirà”, tutti i nostalgici e i “neopagani” che idolatrano e sognano un nuovo avvento dell’uomo solo al comando. Tutti quelli che vogliano vivere in un mondo senza libertà. Il nuovo credo del “Lungotermismo” di Elon Musk (https://iltallonediferro.eu/2024/11/15/elon-musk-luomo-che-vuole-risolvere-il-futuro-critica-ideologica-di-elon-musk/), da cui Trump ha tratto linfa vitale per riottenere la presidenza degli Stati Uniti, è il vero pericolo. Il nuovo “Pensiero Unico e Totalitario” che sta attraversando la classe dirigente dei paesi occidentali e li tenta come il fascismo ha sedotto i loro antenati. Parlare di stati nazionali, in un mondo digitale avvolto dalla rete, ha poco senso parlarne.

Il paradosso è che i “sovranisti” italiani ed europei, solo per odio delle istituzioni liberal democratiche, vedono una simile ideologia, come luce e spirito dei tempi, portatrice del futuro, non comprendono il vero pericolo di simile ideologia: lo svuotamento completo e definitivo dell’insieme dei valori e della tradizione della civiltà occidentale.

Il Tallone di ferro. La distopia del nostro presente

Di Geraldine Meyer

Il Tallone di ferro, scritto da Jack London nel 1907, con il titolo originale di The iron heel, fu tra i primi esempi di quelli che vennero definiti “romanzi antitotalitari”. Un testo che, seppur a buon diritto inseribile nella categoria di “fantapolitica”, appare come materiale estremamente realistico. Visionario nell’accezione di essere riuscito a immaginare un futuro, e ad averlo immaginato tanto lucidamente da sconfinare e tracimare da quella classificazione di distopia con cui è sempre presentato.

La trama, o sarebbe meglio dire l’ossatura narrativa, è il racconto dell’ascesa della dittatura oligarchica negli Stati Uniti, una rivoluzione socialista e la lotta di classe tra borghesia e proletariato ma, ancor più amaramente, tra “proletariato privilegiato” e sottoproletariato urbano. Questa è la vera ferita che il socialista London mette in luce, denunciando la protervia e il potere di una classe dominante che divide la stessa classe sottoposta, insinuando in essa differenze e privilegi che poi, a ben vedere, privilegi non sono.

Un romanzo che, attraverso la scrittura ruvida e eppure lirica di London, ci si presenta quasi come uno dei suoi stupendi reportage, non ultimo quello che diventerà Il popolo dell’abisso (spesso evocato anche in questo testo) uno dei suoi libri più belli, duri e commoventi. Il Tallone di ferro, pur nello stile lucido e pulito a cui London ci ha abituato, è un testo solo apparentemente semplice, retto in realtà da una struttura composita e da pagine dense di considerazioni politiche, economiche e filosofiche. Pagine in cui il lettore si imbatte in Marx, Spencer, Darwin o Nietzsche, e in una storia che disegna, perfettamente, anche il nostro attuale presente.

Romanzo politico, certo, e romanzo civile. Tanto che persino Trockij ebbe a dire: “Si può affermare con certezza che nel 1907 non esisteva marxista rivoluzionario, senza eccettuare Lenin e Rosa Luxemburg, che rappresentasse con tale ampiezza la prospettiva funesta dell’unione tra capitale finanziario e aristocrazia operaia. Basta questo a definire il valore specifico del romanzo.”

Che libro è, dunque, questo Il Tallone di ferro? Un romanzo, certo, ma scritto con quella capacità di osservazione e di ascolto, con quella profonda conoscenza e cultura che, sole, possono far scaturire un testo di tale portata “profetica”. La stessa struttura inserisce il testo in una cornice realistica. Con i fatti narrati, come scrive Vito Amoruso (curatore dell’edizione degli Editori Riuniti) “disponendoli secondo l’ordine che si stabilisce fra un presente ipotetico di chi legge e il tempo del testo, questi narratori sono, come è noto, rispettivamente Anthony Meredith, Avis Everhard, moglie dell’eroe rivoluzionario Ernest, che è la terza ma centrale voce narrante del romanzo. Meredith pubblica, con corredo di note a piè di pagina, sette secoli dopo gli avvenimenti narrati, il testo di Avis sulle lotte e i fallimenti dei primi grandi eroi della Rivoluzione.”

Ed è allora dentro questa struttura che siamo letteralmente buttati nella descrizione delle violenze e dei soprusi che il proletariato subisce durante i tempi della Comune di Chicago. Avis, giovane ragazza appartenente alla stessa borghesia che finirà con il combattere, conosce e si innamora di Ernest, maniscalco, filosofo e rivoluzionario. Sarà attraverso la sua vitale passione politica che la giovane donna comincerà una sua personale ricerca sulle condizioni di vita e lavoro della classe operaia. Venendo così a scoprire e comprendere, non solo l’esistenza di un criminale sfruttamento ma, anche e soprattutto, l’esistenza di una vera e propria macchina pervasiva e onnisciente: la plutocrazia.

Un tallone che, appunto, non solo tutto schiaccia ma che vive proprio permeando di sé ogni aspetto della società, non solo quello della finanza e della produzione ma anche quello della cultura e dei mezzi di informazione, proni a manipolare e a farsi cantori del nuovo ordine mondiale a partire dalle nuove “meravigliose città” in cui, come in tutte le dittature, l’urbanistica stessa è emblema fisico del potere stesso.

In mezzo a tutto ciò una lotta che creerà sindacati complici, trust e “aristocrazia proletaria” composta da operai che, in cambio di privilegi dati come fossero sedativi, accetterà di vivere per lo stesso sistema che li riduce, comunque, in schiavitù. Un ordine mondiale in cui ciascuno vorrà, in ogni caso, difendere i propri vantaggi a qualunque costo. Dimenticando una visione globale a vantaggio di una frammentazione sia morale sia fisica. Un capitalismo dunque che, come l’Impero romano, ha capito che “divide et impera” è il modo più sicuro per assicurarsi potere e controllo.

Tra fughe e nascondigli, infiltrati in entrambi i fronti di lotta, stragi di uomini, donne e bambini, Il Tallone di ferro parla anche del nostro presente.


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